La
famiglia viene in terapia per consegnare un sintomo al terapeuta e chiedere che
al più presto e nel modo più indolore esso venga espulso come qualcosa di
estraneo o minaccioso. Il terapeuta sa che non può accogliere questa richiesta,
perché toglierebbe a tutta la famiglia, e non solo al ‘paziente designato’
(pd), le potenzialità di energia vitale e crescita racchiuse (e bloccate) nel
sintomo. Espellere il sintomo sarebbe d’altronde un’operazione inutile: sul
lungo termine esso tornerebbe a manifestarsi sotto altre forme, nel paziente
designato o in altri membri della famiglia. Il sintomo nasce quando il corpo di
un figlio vive un disagio che i corpi dei genitori non riescono a contenere e
che amplificano. Esso contiene il cortocircuito tra la spinta corporea al
cambiamento e il terrore corporeo di cambiare. Il sintomo racconta insomma, in
modo sofferto e non sempre lineare, di un corpo che sta cambiando, di una
famiglia che dovrebbe ma non riesce a cambiare con lui, di altri corpi che
invece di dare sostegno entrano in vissuti di paura, in tensioni antiche che
ritornano e premono per diventare figura ed essere elaborate. La famiglia, di
fatto, chiede aiuto perché non è riuscita a mettere a tacere (ma neppure a comprendere)
il disagio di un corpo che destruttura l’ordine emozionalee fa emergere i
disagi dei corpi familiari. Comprendere i processi familiari (‘quale cambiamento
in questa famiglia è iniziato?’, ‘in che modo è bloccato?’, ‘come stanno male
gli altri corpi?’, ‘in quale fase della linea evolutiva questa famiglia è bloccata?’)
offre al terapeuta un preciso orizzonte per elaborare un progetto terapeutico: facilitare
nella famiglia il passaggio al next step del ciclo evolutivo.
Giovanni Salonia, Danza delle sedie e danza dei pronomi.
Terapia gestaltica familiare, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pagg.
91-92
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