Assumere
la famiglia come principio ermeneutico richiede una sorta di svolta
epistemologica: transitare dalla prospettiva individuale o intrapsichica a
quella relazionale e, nello specifico, a quella familiare. Si tratta di
guardare l’individuo partendo dalla sua famiglia intesa proprio come Gestalt,
ossia una totalità che dà struttura o, meglio, una struttura che connette.
Secondo l’antico principio gestaltico, è la totalità che dà il significato alle
parti: le parole formano la frase, ma è la frase – lo sappiamo – che dà senso
alle parole, le quali, su molti registri, risultano polisemiche. Così
l’individuo emerge come una figura da uno sfondo familiare. Anche quando si
sottolineano aspetti unici di una persona, bisogna inscriverli in una
prospettiva bioculare o meglio, gestalticamente, olistica, che vede e confronta
il soggetto con la totalità in cui è inserito e da cui emerge. Anche l’unicità
individuale, quindi, va contestualizzata. L’aggressività di Carlo, il figlio
maggiorenne, a casa definita ‘eccessiva’, può assumere valenze e significati
anche opposti (differenziarsi, allearsi, imitare ecc.) a seconda del campo familiare
da cui emerge. L’identità si costruisce in prima battuta come ‘risposta’ a un datum
più ampio nel quale si è inseriti. Ogni individualità è una musica che
integra due spartiti: quello della famiglia d’origine e quello della famiglia
attuale.
Giovanni Salonia, Danza delle sedie e danza dei pronomi.
Terapia gestaltica familiare, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pagg.
87-88
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