In questo senso un indicatore
primario della narrazione, da più parti oggi riconosciuto, ovvero il
destinatario del racconto, è effettivamente l’altro a cui la parola narrata, e
dunque il suo poietès, si rivolgono
come a un ‘tu’ davanti al quale il racconto prende corpo. Perché ad ogni ‘tu’
(e ad ogni comunità di ascoltatori o di lettori) si offre un racconto diverso;
ad ogni risposta, ad ogni feedback dell’altro
corrisponde una modulazione diversa della storia. Non si può dunque dar conto
dello statuto esperienziale del narrare senza puntare l’attenzione, da un punto
di vista squisitamente fenomenologico e gestaltico, sulla descrizione e sulla
comprensione del racconto orale in quanto processo di contatto, atto
linguistico in cui – riprendendo Goodman – l’”io” è “lo stile e in particolare
il ritmo, l’animazione e il tono, che esprimono il bisogno organico” del
narratore: il “tu” coincide con “l’atteggiamento retorico effettivo nella
situazione interpersonale”, come il desiderio di emozionare, di informare, di
condizionare, ecc. tramite il racconto; e l’”esso” si riferisce al suo
contenuto: “Quando il contatto è buono […]
questi livelli aderiscono compatti l’uno all’altro nella realtà presente”. Ma
se il ‘tu’ è il motore di ogni storytelling
costruito nel contesto della conversazione, la sua funzione orientatrice e
modificatrice si esplica anche nello spazio della scrittura, dove
l’interlocutore visibile viene meno.
Antonio Sichera, Per un’ermeneutica della narrazione, in Testo. Studi di teoria e storia della letteratura e della critica,
63 Nuova Serie- Anno XXXIII, Gennaio-Giugno 2012, Fabrizio Serra Editore, pag.
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