Ma qual è l’oggetto primario del
racconto infantile, che cosa viene “configurato”, ovvero organizzato e ordinato
nel linguaggio, quali esperienze vi prendono forma? Certamente tutti i contatti
primari col mondo che entrano in maniera rilevante nel campo percettivo e
intersoggettivo del bambino. Fondamentale rimane però per lui la relazione con
la madre. Sia perché il mondo che lo tocca viene affidato a lei, per divenire
oggetto di conferma o disconferma, di rassicurazione o di distanza, di
separazione o di fusione: non c’è mondo per il bambino se non condiviso, quasi
creato in rapporto all’accoglienza dell’altro. Sia in quanto, almeno nella fase
sorgiva, le emozioni fondanti rimangono per lui quelle della relazione diadica,
l’espressione del proprio sentire nei confronti di colei che lo manda nel
mondo. Voglio dire che a fronte di una minima distensione temporale, i racconti
originari del bambino-narratore contengono un’intensità relazionale altissima e
mirano ad una messa in forma, una condivisione e un aggiornamento della
relazione con la madre. Prima che strutturare in intrigo la temporalità
costitutiva dell’esperienza umana, il racconto serve a dare ground alla sua originaria
relazionalità, al suo essere, gestalticamente, funzione ed espressione di
contatto.

Antonio Sichera, Per un’ermeneutica della narrazione, in Testo. Studi di teoria e storia della letteratura e della critica,
63 Nuova Serie- Anno XXXIII, Gennaio-Giugno 2012, Fabrizio Serra Editore, pagg.
28-29
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