Riflettiamoci un attimo: a
globalizzare il mondo è stato il linguaggio ridotto a pura tecnica, la cui
estrema trasformazione è in fondo il linguaggio della telematica, il linguaggio
dell’informatica multimediale, del computer: la parola tecnica, la parola strumento
si è impadronita del mondo e lo ha unificato sotto il segno di una lingua
elitaria, divenuta gergo esclusivo (quella della programmazione e
dell’ingegneria informatica), e di una lingua di comunicazione tanto stringata
e povera da ridursi a puro segno, fino ad annullarsi nell’immagine. L’uomo
captato dallo schermo e non più soggetto alla distanza pensante della lettura,
l’uomo capace al limite della scrittura automatica e senza pausa dell’SMS o
della chat non è più l’uomo dell’umanesimo occidentale, non è più ‘uomo della paideia, l’homo legens e scribens
che per più di venti secoli è stato l’uomo dell’Occidente formato dalla
pedagogia greco-cristiana. E’ il declino di quest’uomo che si celebra
inconsapevolmente nei talk show
televisivi sulla guerra, dove il linguaggio, la parola ridotta a pura tèkne, incapace di dire qualcosa sul
senso e sulla realtà del dolore e della morte, la occulta nel diluvio di parole
astratte e senz’anima, la annega in una triviale ostentazione di immagini che
estetizzando la morte la anestetizzano e - profondamente – la rimuovono. E’ il
declino di quest’uomo che si celebra sui palcoscenici della carta stampata o
della televisione, in cui il tempo breve della telecamera o della pubblicazione
detta legge al pensiero, e il commento è solo appendice necessaria di una
parola venuta prima, in una concatenazione infinita: la parola dell’attimo, che
domani potrà e anzi dovrà cambiare perché pura reazione e mai pensiero
interiorizzato…
Antonio
Sichera, Guerra, globalizzazione e
linguaggio in M. Assenza – L. Licitra – G. Salonia – A.
Sichera, Lo sguardo dal basso. I poveri
come principio del pensare, EdiARGO, Ragusa II edizione 2006, pagg. 137-139
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