Per
tutta l’esistenza si cercherà, a tanti livelli, di comporre in sinergia queste
potenzialità che tendono, come i cavalli di Platone, a correre in direzioni opposte.
In base alla storia di ogni individuo e ai periodi della sua esistenza viene
avvertita come più pressante la paura di essere ‘soffocati’ dagli altri o
quella di assumersi la responsabilità della propria unicità. Si tratta, in
altre parole, del modo in cui viene riempito lo spazio tra sé stessi e l’altro,
quel luogo concreto in cui si declina e si vive ogni relazione, luogo che Buber
chiama «traità» e Goodman «confine di contatto». Questo spazio è attraversato
da domande ineludibili e inesauribili che vanno e vengono come onde nel mare:
quanto/ quando avvicinarsi? Quanto/quando allontanarsi? Cercare l’altro o
aspettare di essere cercato? Accettare di essere amato da chi non ci fa vibrare
o inseguire colui/colei che ci attrae, ma non ci ricambia come vorremmo? Quanto
‘sopportare’ per non rompere una relazione e quanto esprimere sé stessi
chiedendo di essere sopportati? Vale o non vale la pena di vivere insieme? Sartre
ha scritto che «l’inferno sono gli altri». Altrettanto pessimistica è la
posizione di chi vede il vivere insieme come una fatica insopportabile. Emerge
sempre più chiara la domanda di fondo: vivere insieme è dono o dannazione?
Esposito dice che la «comunità è necessaria ed impossibile»: un’impossibilità, quindi,
a cui non possiamo sottrarci. Siamo nuovamente rimessi in cammino alla ricerca
di qualche regola che presieda e organizzi questo gioco mai svelato del vivere
insieme.
Giovanni
Salonia, Sulla Felicità e dintorni. Tra
corpo, parola e tempo, Ed. Il Pozzo di Giacobbe, pagg. 101-102
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