Un modello
di crescita, infatti, non serve solo per il lavoro terapeutico con i bambini o
per un lavoro psicoterapeutico di matrice psicoanalitica, ma – essendo
intimamente connesso con gli altri capitoli – diventa
paradigma e metafora dei percorsi evolutivi della stessa relazione terapeutica,
come si evidenzia con puntualità nel lavoro con i pazienti gravi. Credo che da
qualche tempo, nella comunità gestaltica, si è pronti a riconoscere che
l’inclusione di una teoria evolutiva non solo non ostacola il lavoro sul
presente, ma ne facilita la comprensione e ne esalta la pregnanza. Riflessione
questa che – come hai ben detto nel tuo ormai classico La profondità della
superficie – acquista particolare rilievo per i terapeuti della Gestalt. Noi,
infatti, non lavoriamo sul presente ma sull’intenzionalità relazionale
dell’organismo, ossia sul ‘presente-in-divenire’ (secondo il neologismo inglese
‘now-for-next’). Una teoria evolutiva gestaltica, in effetti, ha la
funzione di rispondere alla domanda se sia possibile delineare un quadro epigenetico
dei vari passaggi che concorrono a formare la competenza al contatto e al
ritiro dal contatto. E se […] «L’Io non si dà fin dall’inizio in quanto Io, ma ‘deve arrivare a
se stesso’», allora
anche la competenza al contatto si forma attraverso un primo percorso
evolutivo.
Giovanni Salonia, L’errore
di Perls. Intuizioni e fraintendimenti del postfreudismo gestaltico. Intervista a Giovanni Salonia a cura di Piero A. Cavaleri, in
GTK2 settembre 2011, p. 51
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