… nel fondo del sé c’è l’altro e nel fondo dell’altro c’è il sé… (Kitarō Nishida)

Ma cosa è il sé? E, soprattutto, da dove esso trae origine? Dove è possibile scoprirlo? Sono questi, nella loro semplice essenza, gli interrogativi da cui Kimura inizia la sua ricerca, avendo come sfondo la ricchezza della cultura giapponese. Per dare una risposta a queste domande, egli si accosta al mondo della malattia mentale ed in particolare al mondo della schizofrenia. Gli schizofrenici, in genere, già al momento della pre-adolescenza, sperimentano un certo «difetto di aspirazione all’indipendenza e all’autonomia del loro proprio Io». Essi, cioè, sperimentano, fin da allora, una sorta di incapacità a fronteggiare, a rispondere in modo adeguato alle esigenze di quella che, ai loro occhi, appare come la ‘società degli adulti’. C’è in essi da una parte lo sforzo di mantenere la fiducia in se stessi, dall’altra la constatazione dell’insuccesso, del fallimento soprattutto nell’ambito delle relazioni più intime. Gli altri vengono percepiti e sentiti come più potenti di loro. La loro presenza li rende ancora più deboli e li spinge verso la psicosi. Già da questo delicato periodo dello sviluppo, i disturbi schizofrenici dell’identità dell’Io possono essere considerati a tutti gli effetti come dei ‘disturbi dell’incontro’, tanto che «se non ci fosse il gioco delle relazioni interpersonali, non ci sarebbero schizofrenici.


Pietro A. Cavaleri, Bin Kimura: il pensiero che viene dall’Oriente, in Bin Kimura, TRA per una fenomenologia dell’incontro, ed. Il Pozzo di Giacobbe, pp. 136-137

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