La disforia nel paziente con BPD [Disturbo Borderline di
Personalità] è stata
interpretata come la risultante di un effetto patoplastico svolto dalla
organizzazione di personalità che, un po’ come un prisma, filtra l’esperienza depressiva
distorcendola. L’effetto disforico segnalerebbe una vera e propria resistenza
della persona all’invasione di una più autentica tristezza, un tentativo di
ribellarsi al destino depressivo.
La disforia, da un punto di vista gestaltico, riflette
un’intensa reattività/dipendenza all’/dall’ambiente: il PBL è estremamente
sensibile, vulnerabile alle influenze e alle variazioni dell’ambiente, sorride se
l’ambiente sorride, ma è sufficiente che un sorriso non accada perché crolli la
relazione. Cambia il vissuto se cambia l’ambiente. In questa ‘dipendenza’,
viene annullata la diversità insita in se stesso e nella relazione. L’Altro è un corpo che non può incontrare perché
la competenza relazionale richiede il progressivo modificarsi del modo di
vedere se stessi di fronte all’altro e l’altro di fronte a se stessi. Intrappolato
nella confusione e nella fatica di differenziare i propri vissuti da quelli
degli altri, ingannato da parole sui vissuti – ‘giuste’ per lui ma errate per
gli altri – il PBL non può tollerare le continue modificazioni che la relazione
umana richiede.
Gabriella Gionfriddo,
La trama relazionale borderline. Traduzione gestaltica dei criteri
diagnostici del
DSM -5 (Modello
‘Alternativo’), in G. Salonia (ed.), La luna è fatta di formaggio. Terapeuti
gestaltisti traducono il linguaggio borderline, Ed. Il pozzo di Giacobbe,
pp. 75-76
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