Il primo grande viaggio è quello della separazione. Molto si gioca su questo versante, perché la separazione non è un tradimento, bensì un percorso evolutivo. Il bambino, per iniziare a vivere, deve staccarsi dal grembo materno. Il primo compito di chi cresce è separarsi. La capacità di separarsi ha paradossalmente la stessa valenza della capacità di appartenersi. Che significa essere sé stessi. Non per nulla la colpa delle origini consiste nel rifiuto della propria identità profonda.
Nel momento in cui si opera la prima separazione bisogna invece aver chiara la propria identità: è il cammino dal noi all’io. Presentarsi al mondo nella propria nudità, nella propria solitudine, ma anche nella fierezza regale di quel che si è.
Ma l’appartenenza è un cammino evolutivo che passa anche attraverso la solitudine. Essere sé stessi significa avere una volontà diversa da quella dell’altro, e la soluzione del conflitto non può avvenire troppo presto, se non a prezzo di conseguenze amare.
La separazione evoca sempre la solitudine. La fase del nido vuoto è necessaria. Se non c’è solitudine è difficile appartenere. La solitudine va accettata ed elaborata, altrimenti la rabbia diventa compagna di viaggio.
Giovanni Salonia
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